Crollo intramoenia: a perderci sono medici, strutture e pazienti.
Rendiamola più attrattiva
Roma, 07 febbraio 2022 – Di certo non stupisce, il crollo dei ricavi dell’intramoenia fotografata dalla “Relazione sullo stato di attuazione dell’esercizio dell’attività libero-professionale intramuraria” relativa all’anno 2020 e trasmessa dal ministero della Salute al Parlamento nei giorni scorsi: nel 2020, i ricavi sono diminuiti del 29,1% rispetto all’anno precedente (da 1,152 miliardi a 816,934 milioni di euro), ed il numero dei medici che esercitano l’attività intramuraria è passato dai 55.500 del 2013 ai 45.434 del 2020. È vero che senz’altro l’emergenza da Covid-19 ha influenzato questi numeri, considerando l’impegno straordinario cui ha costretto personale e strutture sanitarie; ma si tratta comunque dell’epilogo di un trend di decrescita in atto già da alcuni anni e più volte denunciato dalla Federazione CIMO-FESMED.
D’altro canto, ci chiediamo dove un medico che già spesso lavora più di 48 ore a settimana per colmare i buchi di organico e garantire le attività istituzionali dovrebbe trovare il tempo da dedicare all’intramoenia. E soprattutto perché dovrebbe farlo, considerando gli ostacoli burocratici da affrontare e le “gabelle” sempre maggiori imposte dalle aziende a chi tenta di dedicarsi a tale attività.
L’intramoenia viene ancora considerata erroneamente e da più parti la causa delle liste d’attesa, dimenticando forse i tagli a personale, strutture, ambulatori e posti letto che portano le aziende a ridurre l’offerta sanitaria, e che ogni iniziativa adottata contro la libera professione dei medici dipendenti del SSN si tramuta di fatto in un vantaggio per la sanità privata. E forse, viene quindi da chiedersi, è proprio questo l’obiettivo ultimo per qualcuno.
Si dovrebbe piuttosto tornare a considerare l’intramoenia come una risorsa per pazienti e strutture, favorendo la libera professione ad integrazione delle attività istituzionali per consentire di ampliare l’offerta sanitaria e di contribuire quindi all’abbattimento dei tempi di attesa. Si dovrebbe pensare all’intramoenia come un’utile arma per combattere il disagio diffuso tra gli ospedalieri emerso in maniera drammatica dall’indagine condotta nei giorni scorsi dalla Federazione CIMO-FESMED. Si dovrebbe quindi incentivare l’intramoenia, riducendone le penalizzazioni economiche e gli ostacoli burocratici che la rendono non competitiva. Sarebbe inoltre un modo per incentivare i professionisti non solo da un punto di vista economico, ma soprattutto professionale, nell’ottica del recupero del rapporto fiduciario medico-paziente e della necessità di rendere più attrattiva una realtà, quella ospedaliera, da cui ad oggi vorrebbe fuggire il 72% dei medici.
I pazienti, dal canto loro, potrebbero contare su un’offerta sanitaria più ampia, a fronte di un contributo economico in ogni caso più contenuto rispetto a quanto richiesto dalle strutture private, che al contrario richiedono il pagamento integrale delle prestazioni. L’imminente taglio del tariffario, tra l’altro, porterà molte strutture private a dover rinunciare alle convenzioni e ad erogare quindi alcune prestazioni totalmente a pagamento.
In assenza di interventi strutturali sull’attività ospedaliera e con l’approssimarsi di una vera e propria nuova emergenza sanitaria causata dall’aver trascurato per due anni tutte le malattie non Covid, incentivare l’intramoenia può essere un’opportunità per medici, strutture e pazienti.