COMUNICATO STAMPA CIMO-FESMED
Donne medico, niente sostituzione di maternità per il 75% delle gravidanze
Le testimonianze: «Mi è stato rinfacciato più volte di aver scelto di essere madre oltre che chirurgo». «La carenza cronica di personale ha aggravato un ambiente già culturalmente deviato». «Ad oggi quello del medico rimane un mestiere per uomini»
Le donne medico sono più degli uomini, ma solo il 17% degli incarichi in struttura complessa è affidato a dottoresse
Roma, 7 marzo 2022 – Che negli ospedali manchino medici ormai è fatto noto e accertato. Che il personale sanitario sia spesso costretto a lavorare più di 48 ore a settimana, senza poter andare in ferie o prendere permessi, non fa più notizia. In questo scenario cade come un macigno, dunque, il numero di maternità di donne medico per le quali non viene prevista alcuna sostituzione: secondo un sondaggio della Federazione CIMO-FESMED su un campione di 1.415 dottoresse, il 75% delle assenze per maternità non viene coperto. Un fenomeno che negli anni si è gradualmente aggravato: dividendo la popolazione in fasce di età, emerge infatti che le percentuali di maternità sostituite sono maggiori tra le donne più grandi, che presumibilmente hanno avuto gravidanze negli anni passati, rispetto alle più giovani. È stato sostituito il 21,6% delle mamme che oggi hanno più di 60 anni; il 18,9% delle donne che hanno tra i 51 e i 60 anni; il 16,3% delle quarantenni ed il 12,6% delle trentenni.
Ogni gravidanza, quindi, oggi ancor più di ieri va irrimediabilmente a pesare sulle spalle dei colleghi che rimangono in servizio, che oltre a doversi occupare di un carico di lavoro già estenuante, devono colmare il vuoto lasciato dalla collega legittimamente a casa. Le aziende non cercano sostituzioni di maternità per risparmiare lo stipendio della donna incinta – visto che l’indennità di maternità è in capo all’INPS – e i pochi bandi pubblicati spesso cadono nel vuoto perché medici disponibili non ce ne sono. Una situazione che genera un profondo senso di colpa delle mamme medico, che acuisce le discriminazioni subite da superiori e colleghi, che aumenta le difficoltà ad essere assunte prima e ad ottenere ruoli con maggiori responsabilità poi.
Dal Rapporto sulle donne nel SSN del Ministero della Salute del 2019 emerge infatti che solo il 17,2% degli incarichi in struttura complessa ed il 34,7% degli incarichi in struttura semplice sono affidati a donne, nonostante il numero di professioniste sia superiore a quello dei medici uomini. Secondo la Federazione degli Ordini dei Medici, nel 2021 il 54% dei professionisti con meno di 65 anni era donna, percentuale che saliva al 64% considerando la fascia d’età tra i 40 e i 44 anni. Una costante femminilizzazione della professione che, tuttavia, non è accompagnata da un cambiamento organizzativo e culturale che vada di pari passo: l’88% delle dottoresse che hanno aderito al sondaggio ritiene che le donne medico possano subire discriminazioni sul luogo di lavoro, ed il 58,4% è consapevole di aver subito un trattamento differente perché donna. Un dato che si riscontra anche nel rapporto con i pazienti, per i quali «l’uomo è sempre professore e la donna signorina»: questo è uno dei commenti più frequenti emersi dal sondaggio.
Le testimonianze
Ma per capire cosa subiscono le donne medico in molti ospedali italiani, le loro parole sono più efficaci di qualunque numero. Quando abbiamo chiesto loro come è stato il rientro al lavoro dopo la maternità, c’è chi parla di mobbing, di pressioni, di demansionamento, di senso di colpa che porta a non richiedere congedi parentali o straordinari per non far ricadere il lavoro sui colleghi. C’è chi è dovuta tornare in ospedale poche settimane dopo il parto, a molte non è stato riconosciuto il diritto all’esenzione dai turni di notte per i primi tre anni di vita del bambino o all’orario ridotto per allattamento. E tra chi ottiene il tempo parziale per l’allattamento, c’è chi è costretta a svolgere attività in radiologia o ad esporsi a gas anestetici.
«I miei colleghi mi hanno trattata come se fossi stata un anno in vacanza – scrive una dottoressa -. Al rientro sono stata trattata come una persona che doveva recuperare il lavoro non svolto durante la maternità». «La maternità delle colleghe viene vissuta come un peso per le aziende ospedaliere, i primari e i colleghi – il commento di un’altra -. L’avere figli penalizza il percorso formativo e di avanzamento di carriera. Ad oggi quello del medico rimane un mestiere per uomini». «Mi sono sentita in dovere di lavorare come i colleghi, e di recuperare quanto non fatto durante i pochi mesi in cui mi sono presa cura di mio figlio». «La carenza cronica di personale ha aggravato un ambiente già culturalmente deviato». «Mi è stato rinfacciato più volte di aver scelto di essere madre oltre che chirurgo».
Quindi, è emersa con forza la necessità di «garantire pari opportunità di carriera a uomini e donne», richiesta dal 62,7% delle dottoresse che hanno risposto al sondaggio. «Le donne stanno dove si sgobba, non dove si comanda». «In sala operatoria si ascolta sempre il chirurgo, mai la chirurga».
Quici: «Storie agghiaccianti. Sostituzione di maternità sia obbligatoria»
«Alcune delle esperienze subite dalle colleghe sono agghiaccianti, non degne di un Paese civile – commenta il Presidente della Federazione Guido Quici -. Non possiamo permettere che le donne medico subiscano vere e proprie discriminazioni. Non possiamo permettere che una giovane donna non venga assunta perché la sua maternità potrebbe costituire un problema per la struttura. Servono concrete politiche sociali e di organizzazione del lavoro. Faremo in modo che il prossimo contratto preveda l’obbligo, per le strutture sanitarie, di sostituire le dipendenti in maternità. Ci impegneremo affinché gli strumenti di welfare siano implementati e modulati sulla base delle necessità di ciascuno. Proporremo dei parametri oggettivi di valutazione dei medici, dai quali far dipendere l’assegnazione degli incarichi professionali, in modo da premiare il merito ed evitare qualsiasi forma di preferenza o discriminazione».
«Sono aspetti – conclude Quici – che dinanzi al costante aumento delle donne medico nel Servizio sanitario nazionale non possono essere trascurati. Si tratta non solo di un obbligo morale e deontologico nei confronti delle colleghe, ma anche di una necessità per evitare che il sistema nei prossimi anni vada in crisi».